Uber è un “concorrente sleale” dei radiotaxi?

In un contesto temporale che ormai potremmo definire “Era del 3.0”, ovvero delle applicazioni informatiche e dell’internet of things, il Tribunale di Torino ha precisato che ciò che ruota attorno al concetto di innovazione deve comunque essere inquadrato nei limiti posti, in particolare, dalle norme in materia di concorrenza nel mercato.

I Giudici torinesi, con provvedimento dell’1 marzo 2017, sono stati infatti i primi pronunciarsi a livello nazionale, con sentenza e in modo ampiamente motivato, in merito alla nota “crociata” dei radiotaxi nei confronti dei titolari dell’applicazione “UBERPOP”.

In seguito ad un procedimento cautelare svoltosi avanti il Tribunale di Milano e conclusosi favorevolmente per i ricorrenti “taxisti”, il Gruppo Uber ha convenuto questi ultimi avanti il Tribunale di Torino affinché venisse accertato che l’attività di gestione dell’applicazione che mette in contatto trasportatori privati senza licenza e utenti che richiedono un servizio di trasporto è legittima e non è svolta in concorrenza con quella gestita dai radiotaxi. In particolare, il Gruppo Uber ha richiamato i principi costituzionali ed europei della libera iniziativa economica e della libertà di circolazione e stabilimento, tentando di dimostrare che l’applicazione offre un servizio diverso da quello che viene offerto dai radiotaxi.

Il Tribunale ha però respinto le domande del Gruppo Uber ed ha accertato che il servizio reso mediante l’applicazione suddetta ha natura simile a quella propria del servizio offerto dai radiotaxi, e ciò benché il primo avvenga mediante uno strumento tecnologicamente più avanzato qual è un’applicazione per smartphone: si tratta infatti pur sempre di un servizio di trasporto non di linea, prestato dietro corrispettivo da parte di un trasportatore e su richiesta di un utente, messi in contatto da uno strumento gestito da terzi. Il servizio Uber è pertanto concorrenziale rispetto al servizio radiotaxi.

Detto servizio è, inoltre, svolto da soggetti privi della licenza richiesta dalle norme di settore ai taxisti nonché mediante mezzi di trasporto la cui idoneità allo svolgimento di tale tipologia di servizio non è verificata secondo la legge cui sono sottoposti, ancora una volta, i titolari di idonea licenza. Il Tribunale ha quindi accertato che il servizio concorrenziale di Uber è esercitato in violazione delle norme di settore.

Partendo poi dalla premessa che concorrenza esercitata in violazione di legge non si traduce automaticamente in concorrenza sleale, il Tribunale ha inoltre accertato che il Gruppo Uber può trarre un vantaggio dallo sfruttamento dell’applicazione dallo stesso gestita, in quanto quest’ultimo offre un servizio a prezzi inferiori rispetto a quelli stabiliti dalla categoria dei taxisti, cui potrebbe essere quindi sottratta parte della clientela. La combinazione dell’elemento della concorrenzialità, della violazione delle norme di settore e del vantaggio di cui si è parlato definisce il quadro di un’attività di concorrenza sleale, imputabile al gestore dell’applicazione e anche al soggetto privato trasportatore che si avvale della stessa per esercitare l’attività per legge riservata ai regolari licenziatari.

Tali soggetti sono stati pertanto inibiti dall’utilizzo dell’applicazione UberPop e dal prestare il servizio reso mediante detta applicazione in violazione delle norme di settore.

Se è vero, in conclusione, che per l’ordinamento italiano la giurisprudenza non costituisce fonte di legge e al momento non esiste legge nazionale che impedisce espressamente l’utilizzo, nelle forme suddette, dell’applicazione Uber e di altre ad essa analoghe, il cittadino adeguatamente informato e consigliato non potrà tuttavia ignorare le argomentazioni svolte dal Tribunale di Torino e le conclusioni da quest’ultimo formulate nel caso si trovasse a valutare l’ipotesi di seguire l’esempio imprenditoriale rappresentato dal Gruppo Uber e dai trasportatori coordinati da quest’ultimo.

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